Uno studio pubblicato su Scientific Reports ha analizzato la capacità dei lettori di distinguere poesie generate dall’intelligenza artificiale da quelle scritte da poeti umani, con risultati sorprendenti. La ricerca, condotta da Brian Porter e Edouard Machery, ha coinvolto oltre 16.000 partecipanti, dimostrando che i lettori non esperti identificano erroneamente i testi generati dall’IA come opere umane il 53,4% delle volte, andando sotto il livello casuale di accuratezza.
Lo studio si è articolato in due esperimenti. Nel primo, i partecipanti hanno valutato poesie realizzate da 10 celebri poeti inglesi, tra cui Shakespeare e Emily Dickinson, confrontandole con testi generati dall’IA nello stile degli stessi autori. Nel secondo esperimento, un nuovo gruppo ha assegnato valutazioni qualitative a queste poesie su parametri come ritmo, bellezza ed emotività.
I risultati rivelano che le poesie generate dall’IA sono percepite come più accessibili e dirette, caratteristiche che i lettori associano alla scrittura umana. Paradossalmente, i partecipanti tendono a valutare più negativamente i testi quando sanno che sono stati prodotti dall’intelligenza artificiale. Questo “pregiudizio contro l’IA” contrasta con il fatto che molti lettori preferiscono, inconsciamente, lo stile semplice e immediato delle poesie artificiali rispetto alla complessità di quelle umane.
Gli autori dello studio sottolineano come i lettori utilizzino euristiche imperfette per distinguere i testi, penalizzando la complessità e interpretandola come incoerenza. Questo fenomeno, definito “più umano dell’umano”, evidenzia l’evoluzione delle capacità creative dell’intelligenza artificiale e il potenziale di superare i confini tradizionali della letteratura.
La ricerca apre un dibattito cruciale sul ruolo dell’intelligenza artificiale nella produzione artistica, sollevando questioni sul valore percepito dell’autenticità umana nell’arte e nella poesia.