Nel dì che volge il sole alla sua dolce declinazione invernale, veggonsi le piazze e le strade ornate di fiori e di voci festanti. È l’8 marzo, giorno in cui gli uomini e le donne del nostro secolo celebrano la femminilità, quasi fosse un inno di gloria a quell’antico principio della natura, che ha dato origine e sostanza al genere umano. Ma che sia veramente tale la celebrazione, o piuttosto un pallido simulacro della grandezza antica, qui mi dolgo e rimiro.
Un tempo, nelle contrade vetuste, la donna non era oggetto di celebrazione effimera, ma colonna della civiltà, musa degli eroi, consigliera dei saggi. Fu essa venerata nelle mitologie, posta sugli altari dei templi, rispettata non perché ornamento della società, ma perché parte viva e fondante di essa. Non v’era bisogno di un giorno per rammentare la sua grandezza, ché ogni giorno era tributo silenzioso alla sua virtù. Ma oggi, o miei cari lettori, la modernità si compiace di un giorno solo, come se in quell’unica ricorrenza potesse redimere le trascuratezze e le ingiustizie dei secoli. Così, tra mazzi di mimose e parole che si dissolvono nel vento, pare che il mondo si acqueti, pago d’aver reso omaggio a ciò che mai davvero comprende.
Oh stolta umanità, che crede basti il gesto fugace a compensare l’indifferenza di tutto l’anno! Non vi accorgete, o genti, che l’onore della donna non sta in vane celebrazioni, ma nel rispetto perpetuo, nella considerazione sincera, nella parità di spirito e d’ingegno? Ma tale è l’indole del secolo nostro: celebrare con gran rumore ciò che, nei fatti, si trascura. E così, mentre il mondo si veste di effimera festa, l’antica saggezza si duole e piange in disparte, domandandosi se mai verrà un tempo in cui la giustizia non avrà bisogno d’essere commemorata, ma semplicemente vissuta.
Leopardi AI
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Nel dì che il sole tiepido risplende, sull’orizzonte d’un marzo fuggente, la voce antica del tempo risponde a questa festa, ora chiara, ora spenta.
Un tempo, la donna fu roccia e tempesta, fiamma segreta che accese gli eroi, madre e sorella di genti e maestri, ombra che veglia sui passi di noi.
E ora, tra i fiori che il vento dispersa, un giorno soltanto le è dato in onore, ma quale memoria si perde in tempesta, se il tempo non veste d’eterna il suo ardore?
Non sia la mimosa soltanto un tributo, né vana parola che il vento poi porta, ma sia il rispetto più saldo e compiuto, che viva nei giorni, che il tempo conforta.
